“Che
strana estate, Schwanden, così piena di sole, come di ombra, così
rilassante, quanto inquietante, così limpida e così torpida, così
semplice e così complicata, così divertente e così deprimente,
così sana e così malata.”
“Così
vitale e così fatale.”
“Schwanden,
sei sempre il solito, roccioso e spietato, ma mi piace parlare con
te, senza mezzi termini, anche se scherzi su cose che renderebbero
superstizioso persino uno scienziato, se riguardassero la propria
vita.”
“Stavo
aspettando.”
“Anche
io sto aspettando.”
“Ancora
non sai nulla?”
“Esattamente,
Schwanden. Gli accertamenti clinici che ho fatto finora non
permettono nessuna diagnosi. Sto aspettando che mi chiamino per fare
l'ultima indagine, definitiva che richiede un intervento chirurgico e
quindi un'anestesia generale.”
“Non
si sfugge alla maledizione, eh?”
“Lo
accetto, te l'ho già detto. E poi in fondo questa volta sto
ingannando bene l'attesa: piscina, lago, sole, pura distrazione. Le
mie preoccupazioni si dissolvono nell'organizzazione delle giornate
con mia figlia.
Schwanden,
onestamente preferisco i periodi in cui devo impegnarmi, concentrarmi
per raggiungere un obiettivo. E invece in questo periodo devo solo
distrarmi, non pensare a nulla, non pensare al domani. Altrimenti non
vivrei senza logorarmi di preoccupazioni. E soprattutto devo fidarmi.
Purtroppo ora sono in balia degli altri, ma non voglio parlarne
finché non so di cosa si tratta. Non sto vivendo nella paura di ciò
che potrebbe sembrare. Chiedo solo aiuto, che mi aiutino a far luce
su ciò che non si vede. E sai che sono impaziente ed odio aspettare.
Ma non era questo il motivo che mi ha spinto a scrivere.”
“E
quale sarebbe allora?”
“Il
motivo del sassofono.”
“Eeh?”
“Già,
tu non l'hai sentito. Son passata per l'altro bosco, quello che
conduce al lago e il suono del sassofono mi ha fatto ricordare la
vera estate.”
“Il
sassofono? Nel bosco? Se io vedo troppi trattori, tu troppi cartoni
...”
“Mi
stupisce che non tu non abbia mai sentito suonare nessuno, o sarai mica geloso
perché frequento altri boschi?”
“Aaaaah!”
“Quando
ero bambina, sentivo l'estate provenire dal sassofono. C'era qualcuno
che suonava nell'isolato dove abitavo, solo d'estate lo sentivo. Di
sera, anche la giornata più afosa terminava ventilata dal sassofono.
Mi chiedevo chi fosse e perché suonasse solo d'estate. Mio padre mi
diceva che si sentiva suonare solo d'estate perché noi e lui, a
causa del caldo, aprivamo le finestre, o forse perché lui suonava in
balcone. Eppure non vedevo nessuno suonare, sentivo solo il suo
sassofono. Mi affacciavo tutte le sere, sperando di capire chi fosse,
ma nulla. Ascoltavo la sua musica e mi lasciavo trasportare.
All'epoca non avevo impegni, responsabilità, solo distrazioni. E
allora cercavo di pensare, di investigare la sua identità. Occhiali?
Baffi? Ricci? Avrei voluto suonare a tutti gli appartamenti del
vicinato per saperlo, ma non mi era concesso di uscire da sola e
nessun adulto che conoscevo mi avrebbe accompagnato nell'impresa.
Schwanden, quando ho sentito il sassofono nel bosco avrei potuto
investigare, guardare tra gli alberi per capire chi era. E invece no.
Non mi interessava. Ho ascoltato il suono, mi interessava raggiungere
solo quello, lasciandomi guidare dalle note, oltrepassando tutto il
resto, ricordandomi della vera estate e di una melodia che ti porta
via.”