Progresso? Lo chiamano
progresso, ma si è rivelato quale passaggio da una schiavitù ad
un'altra: dalla schiavitù della povertà e della fame a quella della
ricchezza e della competitività. In estrema sintesi: la transizione
da un lavoro da schiavo alla schiavitù da lavoro. Se in passato
comandava la legge della sopravvivenza, ora comanda la legge della
produttività, con la conseguenza che non si è più liberi di
scegliere per la propria vita, a meno di voler o poter vivere lontano
dalla società.
Se ci fosse veramente progresso,
non si sarebbe schiavi del proprio lavoro. Non si sarebbe costretti a
lavorare tutto il giorno per dover sopravvivere in una società dove
correre è il presupposto non per arrivare prima, ma per stare al
passo.
In una società progredita non
si dovrebbe cessare di esistere, perché completamente assorbiti dal
proprio lavoro o perché rifiutati dal lavoro stesso e dalle dure
leggi del mercato.
Ma quale progresso c'è stato
nella società? In passato si era costretti ad emigrare, ma per fame,
disperazione. Ora si emigra, per business o per lavoro. In passato si
partiva non lasciando nulla: né casa, né famiglia. Ora si parte e
spesso si lascia tutto: casa, amici, famiglia, agi. Per cosa? Ė
un controsenso: si hanno agi, casa, si mangia bene e tuttavia si è
costretti a partire. Perché? Perché non si può scegliere dove
stare? Perché non ci si può più aspettare di vivere e lavorare
dove si nasce?
Ė
qui che ci ha portato il progresso?
Ho sempre pensato di essere una
squilibrata, per la mia mania di perfezionismo o per la mia continua
ricerca di cambiamento o miglioramento, per la mia insaziabilità
intellettuale. E invece realizzo che è il mondo ad essere
squilibrato, al punto da star diventando insostenibile.
Paradossalmente, vivranno sempre più a lungo gli anziani e moriranno
sempre prima i giovani. Non verranno più pagati gli
stagisti/lavoratori, per poter pagare i pensionati o i dipendenti a
tempo indeterminato, con una certa anzianità, talmente rincretiniti
da anni di lavoro sempre uguale, ma che non possono andare in
pensione perché troppo giovani.
E questo è il progresso. Morire
di fame o di debiti, per l'insostenibilità di un elevato tenore di
vita.
Se una volta si cantava
“aggiungi un posto a tavola che c'è un amico in più...” ora si
canta “caro amico, siediti e aspetta che finiamo di ingozzarci. Se
sei fortunato avanza qualcosa.” Altro che dividi il companatico.
Magari ti fanno pure leccare il pavimento per pulire i loro avanzi.
Briciole, nient'altro che
briciole ci lascia ciò che abbiamo chiamato progresso. Briciole, di
chi divide e non condivide. Di chi occupa un posto, ma non imbandisce
la tavola.
Briciole, che se te le lasciano
sei fortunato: concedendoti l'elemosina, ti offrono il pranzo. E devi
ringraziare, potendo pulire i loro rifiuti.
E questo è il progresso.
Progresso tecnologico,
scientifico, economico e tutto ciò che volete. Innegabilmente, la
vita dell'uomo è migliorata, ma soltanto perché è diventata più
semplice, meno faticosa, ma non più libera.
Il progresso ci mostra la vita
come una successione di mete parziali: esami, diplomi, laurea,
matrimonio, figli, avanzamento di grado e via dicendo. Ci induce a
preoccuparci di toccarle una dopo l'altra, senza accorgerci di quanto
avviene lungo la strada, senza mostrarci di fatto la vita stessa e
cosa avviene all'ecosistema.
Il progresso ci mostra quali
falliti se ne restiamo fuori. Ci induce a sentirci falliti se non
siamo laureati, se non abbiamo un lavoro o se lo abbiamo perso, ma
anche se non abbiamo una famiglia convenzionale. Per ogni cosa ci
può far sentir falliti, ma di fatto l’unico modo in cui ci rende
falliti è privandoci della capacità di farci sentire e vedere al di
fuori di esso.