Ed ecco che mi ritrovo di nuovo faccia a faccia con te. Dopo quasi quattro
anni di latenza, ora ti fai di nuovo vedere. Ti aspettavo. Così come si prova
ansia e attesa nel voler rivedere le persone care o nel vivere momenti
piacevoli, si freme anche nel voler affrontare il nemico, anche nel caso in cui
si debba uscire devastati.
Ti nascondevi, ma adesso ti rivedo di nuovo scorrazzare all’aria aperta e
ti sto braccando, come un cacciatore con la preda, ma senza fucile. Non posso
ucciderti, ma catturarti. Catturarti e mostrarti al pubblico, che penserà lui a
darti il colpo finale.
Eppure mi ricordo quanta paura che mi facevi. Avevo paura che ti saresti
impossessata di me. Che mi avresti distrutto piano piano il sistema nervoso,
prima paralizzandomi il corpo, poi la mente, impedendomi di camminare, di
parlare, di pensare, di ridere.
E invece ora sono io che voglio catturarti, o perlomeno immortalarti per il
tempo necessario a chi potrà sconfiggerti.
Forse sono io che di fatto mi sono nascosta, rimanendo tranquilla nel mio
rifugio, non appena ho saputo che non mi avresti cercato. Ma nella mia
apparente tranquillità, ti ho sempre pensato e il mio pensiero mi ha condotto
nella strada per poterti incontrare di nuovo e sfidare. Mi sono affidata alla
sorte, ma il dado l’ho lanciato io. E adesso il destino mi riporta a te. Ti
osservo, nel territorio delle Azygos. Vedo quanto sei pericolosa, ma non voglio
toglierti gli occhi di dosso. In fondo anche tu hai paura. Se io ho paura che
mi conduci nelle tenebre, tu hai paura che io ti conduco alla luce. Non vuoi
farti vedere. Vuoi agire all’oscuro, fuorviando gli sguardi. Vuoi che nessuno
ti capisca per agire indisturbata. Ma io invece voglio vederti in faccia e
capirti, distruggendo la tua falsità. Certo, osservarti non è facile. Mi fai percepire
come una reincarnazione delle tue vittime, con le quali ho in comune alcuni
sintomi e un “marchio” nel cervello che pare innocuo. Devo confessarti che mi
spaventa ciò che non è, ma che potrebbe diventare. Ma questo è un tuo trucco, per
indurmi ad arrendere. Mi spiace, ti sbagli. Continuerò ad osservarti. Per
adesso la priorità è guardare come agisci all’esterno. Poi mi preoccuperò di
guardarti anche all’interno. So che invece vorresti distrarmi, in modo da
costringermi ad occuparmi di me anzichè di te e farmi cercare un rifugio
anzichè cercare di stanarti.
Ma vuoi solo spaventarmi.
Sfoglio le cartelle cliniche che devo analizzare. Disgrazie, sintetizzate
in esiti di esami. Competenze mediche e tecnologiche riassunte in diagnosi e
tomografie. Ed io riassumo ulteriormente gli esiti di esami in dati numerici.
Interi archivi cartacei diventano databases. Databases diventano tabelle
descrittive o prendono forma di grafici per essere più facilmente osservati. Il
tutto poi verrà ulteriormente riassunto in conclusioni. Osservare analizzando
per poi sintetizzare e permettere ad altri di osservare per poi decidere.
Il medico è in grado di esaminare ogni tua singola traccia fisica, ma per
osservare il fenomeno globalmente in tutti i pazienti, ha bisogno dello
statistico che sa gestire la complessità dei dati, sa riassumerli in maniera
razionale, sa testare delle ipotesi, sa fare delle stime o previsioni. Pertanto
sarà una sfida per me far chiarezza su alcune tue “mosse false” e smascherare i
tuoi trucchetti.
Supero l’angoscia di leggere le vicissitudini dei pazienti malati. E’ anche
la mia empatia per la loro situazione che mi motiva ad andare avanti e a
concentrarmi sul lavoro. Ma la mia indole “artistica”, mi induce ad immaginare
un volto, una persona, una vita dietro ogni singolo nome e caso che leggo. Vite
che la malattia ha reso “diverse”. Ma l’essenza principale di ogni “diversità”
è dovuta al fatto che la sua espressione comporta esigenze particolari e
soprattutto maggiore attenzione, sforzo di comprensione e collaborazione da
parte degli Altri. Ed io cercherò di concentrare i miei sforzi, con la speranza
di fare un lavoro che “abbagli”. Ma in ogni caso sarò contenta per ogni piccola
“illuminazione” che riuscirò a dare.