"Cosa vuoi fare da grande?".
L'artista: la pittrice, la scrittrice, la cantante o l'attrice. Questa era la mia risposta, prima della fine della scuola dell'obbligo. Era piuttosto vaga, ma molto consapevole, esprimendo fedelmente le attivita' che impegnavano il mio tempo libero. Finiti i compiti, ero sempre con un foglio, una matita e tanta fantasia. Spesso corredavo anche le mie ricerche scolastiche con immagini che evocavano gli argomenti assegnati: il Risorgimento, il corpo umano, gli insetti, la regione d'Italia che preferivo... La mia fantasia trovava forma non soltanto nel disegno, ma anche nella scrittura.
Il lunedi' per me era il giorno piu' bello della settimana perche' in classe veniva sempre assegnato il tema d'italiano, occasione per poter raccontare, descrivere, esprimere le mie sensazioni, rivivere o riflettere sul fine settimana trascorso. Nelle mie pagine c'era allegria, malinconia, rabbia, noia, ma anche l'espressione di una bambina che odiava essere bambina, che voleva essere considerata, ascoltata, incoraggiata, che odiava l'ipocrisia e la falsa realta'. Questa "bambina" voleva esprimere se' stessa completamente, non soltanto per mezzo delle immagini o della scrittura, ma anche per mezzo dei suoni e delle parole.
La musica e' sempre stata sottofondo dei miei pensieri e accompagnamento delle mie giornate. Ho sempre cantato, in casa ma anche in pubblico, ogni qualvolta ne ho avuto occasione: il coro natalizio, le feste ... Il mio tono di voce e' sempre stato alto, affinche' tutti potessero sentire e perche' la passione ha alti volumi. Suonavo anche il pianoforte. Avevo talento, ma poca pazienza per il solfeggio. Forse, piuttosto che riprodurre i suoni tramite uno strumento, preferivo imitare le voci dei cantanti o degli attori.
Rivedevo piu' volte gli stessi film, per esercitarmi a recitare, a mettere in scena le stesse emozioni. Poi inventavo una storia e i personaggi prendevano forma con le Barbie, che diventavano madri, avventuriere, prostitute ... Coinvolgevo mia sorella o mia cugina, che mi aiutavano a organizzare la scena e i costumi.
"Bello, bello" era la risposta di mia madre al mio desiderio di voler essere un'artista.
Non ero soddisfatta, mi stava solo assecondando. Non poteva essere bello tutto quel che facevo, a prescindere, soltanto perche' opera di sua figlia. Mio padre invece non mi assecondava. Apprezzava i miei temi scolastici, i miei disegni, le mie canzoni, la mia iniziativa e quando necessario esprimeva un parere critico, dandomi degli spunti di riflessione su come migliorare.
Tuttavia non mi ha mai esortato a perseguire una carriera "artistica", irrazionale. "Meglio una vita tranquilla, meglio cercare di controllare le proprie emozioni, meglio restare indifferenti che esporsi." Mi diceva.
Ammiravo mio padre, avrei voluto assomigliarli. Era molto intelligente, erudito, razionale, ma anche creativo. Non aveva talento artistico, ma ingegneristico. Aggiustava ogni oggetto che si rompeva in casa e si divertiva a costruire "diavolerie elettroniche".
Mi sarebbe piaciuto aiutarlo con i suoi marchingegni. Ma non avevo assolutamente talento e predisposizione.
Cercavo in lui un parere quando gli chiedevo di leggere il tema d'italiano assegnato per casa dalla maestra, ma cercavo in lui aiuto e conforto quando gli chiedevo di controllarmi i problemi di matematica.
"Rileggi bene il testo del problema prima di rispondere". Mi diceva. E finalmente poi riuscivo a risolvere il problema.
L'unico modo per "raggiungere" mio padre era quello di diventare razionale e "matematica".
"Allora, cosa vuoi fare da grande?"
lunedì 30 maggio 2011
L'espressione del talento
lunedì 23 maggio 2011
L'annientamento dei sogni al supermercato
“Cosa vuoi fare da grande?” E’ la classica domanda, posta al bambino, la cui risposta non viene mai presa seriamente in considerazione.
Infatti, alla mente adulta, l'idea infantile del futuro e' puramente fantasia e suscita divertimento.
L'adulto con quella domanda finge l'interesse al dialogo con il bambino. Ma in pratica non vi e' alcuno spunto di riflessione sulla sua risposta. Soltanto il fugace ricordo della propria infanzia e della vaga risposta, data a suo tempo, alla stessa domanda.
Tale evocazione e' comunque innocua, non provocando nell'adulto alcuno stimolo al cambiamento della propria vita.
L'adulto si rintana nella propria realta' e nel proprio rifugio di certezze, spesso frutto di autoinganni e costrizioni. L'adulto e' imperniato sulla produzione economica, che consente di appagare gli unici bisogni e desideri che crede di avere: quelli materiali.
Annientare i propri sogni al supermercato. Guadagnare per spendere. E' questa la vera dottrina che non si vuole insegnare, ma che in realta' viene impartita ai bambini.
Il bambino piange. Cosa vuole? Il succhiotto, il latte, il giocattolo, il pannolino pulito. Di conseguenza l'adulto pensa che, come lui, il bambino abbia soltanto esigenze materiali e fisiche.
Ma cosa vuole il bambino veramente? Forse piange soltanto per attirare l'attenzione, per comunicarci che vuole dialogare con noi e che non vuole soltanto essere assecondato.
Spesso infatti ci si comporta con il bambino nella stessa maniera in cui il medico elimina i sintomi della malattia senza averne capito la causa. Sicuramente questa e' la strada piu' breve e piu' veloce per far smettere di piangere il bambino, ma si trascura il fatto che prima o poi il bambino piangera' di nuovo.
Analogamente, l'adulto gestisce il "dialogo sul futuro" scegliendo la via piu' comoda ed "economica" per se', ed apparentemente piu' serena per il bambino: quella di assecondarlo lasciandolo fantasticare sul futuro, ma rimandandone la discussione al momento della fine della scuola dell'obbligo.
Infatti, alla mente adulta, l'idea infantile del futuro e' puramente fantasia e suscita divertimento.
L'adulto con quella domanda finge l'interesse al dialogo con il bambino. Ma in pratica non vi e' alcuno spunto di riflessione sulla sua risposta. Soltanto il fugace ricordo della propria infanzia e della vaga risposta, data a suo tempo, alla stessa domanda.
Tale evocazione e' comunque innocua, non provocando nell'adulto alcuno stimolo al cambiamento della propria vita.
L'adulto si rintana nella propria realta' e nel proprio rifugio di certezze, spesso frutto di autoinganni e costrizioni. L'adulto e' imperniato sulla produzione economica, che consente di appagare gli unici bisogni e desideri che crede di avere: quelli materiali.
Annientare i propri sogni al supermercato. Guadagnare per spendere. E' questa la vera dottrina che non si vuole insegnare, ma che in realta' viene impartita ai bambini.
Il bambino piange. Cosa vuole? Il succhiotto, il latte, il giocattolo, il pannolino pulito. Di conseguenza l'adulto pensa che, come lui, il bambino abbia soltanto esigenze materiali e fisiche.
Ma cosa vuole il bambino veramente? Forse piange soltanto per attirare l'attenzione, per comunicarci che vuole dialogare con noi e che non vuole soltanto essere assecondato.
Spesso infatti ci si comporta con il bambino nella stessa maniera in cui il medico elimina i sintomi della malattia senza averne capito la causa. Sicuramente questa e' la strada piu' breve e piu' veloce per far smettere di piangere il bambino, ma si trascura il fatto che prima o poi il bambino piangera' di nuovo.
Analogamente, l'adulto gestisce il "dialogo sul futuro" scegliendo la via piu' comoda ed "economica" per se', ed apparentemente piu' serena per il bambino: quella di assecondarlo lasciandolo fantasticare sul futuro, ma rimandandone la discussione al momento della fine della scuola dell'obbligo.
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mercoledì 18 maggio 2011
L' espressione della mia insoddisfazione
Poiche' per me l'importante non e' la meta, ma il cammino per raggiungerla, allora l'importante non e' la torta finale che ho prodotto, ma la manodopera impiegata per produrla.
Com'e' caratterizzata la mia manodopera?
Anticonformismo, passionalita', determinazione, curiosita', ambizione, originalita', "esibizionismo", idealismo ...
Caratteristiche relative al modo di mescolare gli ingredienti base della torta: matematica, economia, statistica, piuttosto che agli ingredienti stessi.
Ma una volta che il prodotto e' fatto, ci si trova a doverlo maneggiare. Se piace o non dispiace, nessun problema: lo si sfrutta o almeno lo si usa. Se il prodotto piace a noi, ma non all'Altro ci si disinteressa. Se non piace a noi, ma all'Altro ci si sente in dovere di doverlo usare, pur non traendone soddisfazione. Se il prodotto non piace a nessuno, vale la pena distruggerlo e ricostruirlo.
In quale situazione sono?
Quando ho creduto che la torta fosse l'espressione di me, mi sono sentita soddisfatta e, pur trovandomi nella seconda situazione sono riuscita a trovare qualcuno che l'apprezzasse.
Ma quando ho capito che in realta' la torta e' soltanto un'espressione incompleta di me, allora ho sentito l'esigenza di dover ricostruire oppure integrare.
Maneggiare il prodotto finale infatti non mi soddisfa come pensavo, perche' non mi consente di sfruttare appieno le caratteristiche salienti della mia manodopera, e quindi della mia personalita', o forse perche' non mi interessa veramente l'oggetto.
Sfruttando appieno le caratteristiche della mia manodopera nella produzione mi ha distratto dal prodotto stesso, facendomi credere che tale prodotto fosse un perfetto sostituto del prodotto "ideale", che esprime al meglio me stessa e che e' frutto del mio talento naturale.
Ma esiste questo prodotto?
Esso non dipende dagli oggetti che gia' possiedo, da dove vivo e da che cosa ho gia' costruito, ma per individuarlo forse e' necessario, "andare indietro nel tempo".
Com'e' caratterizzata la mia manodopera?
Anticonformismo, passionalita', determinazione, curiosita', ambizione, originalita', "esibizionismo", idealismo ...
Caratteristiche relative al modo di mescolare gli ingredienti base della torta: matematica, economia, statistica, piuttosto che agli ingredienti stessi.
Ma una volta che il prodotto e' fatto, ci si trova a doverlo maneggiare. Se piace o non dispiace, nessun problema: lo si sfrutta o almeno lo si usa. Se il prodotto piace a noi, ma non all'Altro ci si disinteressa. Se non piace a noi, ma all'Altro ci si sente in dovere di doverlo usare, pur non traendone soddisfazione. Se il prodotto non piace a nessuno, vale la pena distruggerlo e ricostruirlo.
In quale situazione sono?
Quando ho creduto che la torta fosse l'espressione di me, mi sono sentita soddisfatta e, pur trovandomi nella seconda situazione sono riuscita a trovare qualcuno che l'apprezzasse.
Ma quando ho capito che in realta' la torta e' soltanto un'espressione incompleta di me, allora ho sentito l'esigenza di dover ricostruire oppure integrare.
Maneggiare il prodotto finale infatti non mi soddisfa come pensavo, perche' non mi consente di sfruttare appieno le caratteristiche salienti della mia manodopera, e quindi della mia personalita', o forse perche' non mi interessa veramente l'oggetto.
Sfruttando appieno le caratteristiche della mia manodopera nella produzione mi ha distratto dal prodotto stesso, facendomi credere che tale prodotto fosse un perfetto sostituto del prodotto "ideale", che esprime al meglio me stessa e che e' frutto del mio talento naturale.
Ma esiste questo prodotto?
Esso non dipende dagli oggetti che gia' possiedo, da dove vivo e da che cosa ho gia' costruito, ma per individuarlo forse e' necessario, "andare indietro nel tempo".
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giovedì 12 maggio 2011
Il mare all'orizzonte
L'importante non e' la meta, ma il cammino per raggiungerla. E' proprio quello che mi attira. Partire verso l'ignoto, affrontando le avversita'.
Ricordo la prima meta che tentai di raggiungere. Avevo 5 o 6 anni, pressappoco. Vidi il mare all'orizzonte. Mi dicevano che era lontano a piedi, circa 20 km. Ma per me la distanza non significava nulla. Non concepivo la misura dello spazio e del tempo. Visibile ai miei occhi significava raggiungibile. Presi due stracci, convinsi mia cugina a seguirmi e ci incamminammo. Forse avremmo raggiunto il mare o forse non saremmo mai tornate se mia sorella non avesse avvertito mia madre. Ricordo che sentivo la sua voce e vedevo la sua sagoma in lontananza "Dove andate? Tornate indietro. E' lontano. Vi fate male...". Esplorai meglio il territorio. Forse aveva ragione. Forse era meglio tornare indietro. Promisi a me stessa che "da grande" avrei raggiunto il mare all'orizzonte, senza permettere a nulla e a nessuno di fermarmi.
E in effetti cosi' feci. Raggiunsi ogni meta visibile agli occhi della mia mente (il diploma, la laurea, il dottorato, le scadenze lavorative e personali ...). Mia madre, nessun altro e nessuna avversita' hanno potuto fermarmi.
Accecata dal desiderio di arrivare, non mi chiesi in fondo dove sarei arrivata, cosa avrei fatto dopo e cosa avrei perso durante il tragitto. Arrivare ad una meta e' l'unico modo per poterne raggiungere altre.
Quindi cio' che ha veramente valore e' il cammino piuttosto che la meta.
"Ma allora la ragazza fara'sicuramente carriera". Mi dicevano conoscenti, parenti, insegnanti in presenza dei miei genitori.
In realta' far carriera vuol dire muoversi in "verticale": le mete da raggiungere guardano sempre nella stessa direzione essendo tappe di uno stesso traguardo. Questo e' il percorso di chi ha le idee chiare, di chi e' interessato veramente alla meta e non tanto al cammino.
Esplorare, al contrario, significa muoversi in orizzontale: tagliando perpendicolarmente piu' mete che sono tappe di differenti traguardi.
Il mio percorso e' orizzontale. Non ho le idee chiare riguardo a dove voglio arrivare, ma so con certezza che non voglio stare ferma: voglio conoscere piu' realta' senza fossilizzarmi su alcuna. Pertanto la torta a strati, "allegoria" del mio curriculum descritta nel precedente post, non va immaginata in senso verticale (come una torta nuziale) ma in senso orizzontale.
Ricordo la prima meta che tentai di raggiungere. Avevo 5 o 6 anni, pressappoco. Vidi il mare all'orizzonte. Mi dicevano che era lontano a piedi, circa 20 km. Ma per me la distanza non significava nulla. Non concepivo la misura dello spazio e del tempo. Visibile ai miei occhi significava raggiungibile. Presi due stracci, convinsi mia cugina a seguirmi e ci incamminammo. Forse avremmo raggiunto il mare o forse non saremmo mai tornate se mia sorella non avesse avvertito mia madre. Ricordo che sentivo la sua voce e vedevo la sua sagoma in lontananza "Dove andate? Tornate indietro. E' lontano. Vi fate male...". Esplorai meglio il territorio. Forse aveva ragione. Forse era meglio tornare indietro. Promisi a me stessa che "da grande" avrei raggiunto il mare all'orizzonte, senza permettere a nulla e a nessuno di fermarmi.
E in effetti cosi' feci. Raggiunsi ogni meta visibile agli occhi della mia mente (il diploma, la laurea, il dottorato, le scadenze lavorative e personali ...). Mia madre, nessun altro e nessuna avversita' hanno potuto fermarmi.
Accecata dal desiderio di arrivare, non mi chiesi in fondo dove sarei arrivata, cosa avrei fatto dopo e cosa avrei perso durante il tragitto. Arrivare ad una meta e' l'unico modo per poterne raggiungere altre.
Quindi cio' che ha veramente valore e' il cammino piuttosto che la meta.
"Ma allora la ragazza fara'sicuramente carriera". Mi dicevano conoscenti, parenti, insegnanti in presenza dei miei genitori.
In realta' far carriera vuol dire muoversi in "verticale": le mete da raggiungere guardano sempre nella stessa direzione essendo tappe di uno stesso traguardo. Questo e' il percorso di chi ha le idee chiare, di chi e' interessato veramente alla meta e non tanto al cammino.
Esplorare, al contrario, significa muoversi in orizzontale: tagliando perpendicolarmente piu' mete che sono tappe di differenti traguardi.
Il mio percorso e' orizzontale. Non ho le idee chiare riguardo a dove voglio arrivare, ma so con certezza che non voglio stare ferma: voglio conoscere piu' realta' senza fossilizzarmi su alcuna. Pertanto la torta a strati, "allegoria" del mio curriculum descritta nel precedente post, non va immaginata in senso verticale (come una torta nuziale) ma in senso orizzontale.
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lunedì 9 maggio 2011
L'altra faccia del mio curriculum
"Posso essere chiunque". Ma prima descriviamo chi o meglio l'espressione di cosa sono diventata. "Ci parli di lei". E' la tipica "prima domanda" che viene fatta durante un colloquio di lavoro. Ragioneria. Laurea in statistica applicata all'economia, finanza e assicurazione. Dottorato in matematica applicata all'economia. Ricercatrice in statistica medica da due anni (ora in una terapia intensiva in UK).
Piu' che un'insalata di economia, matematica, statistica, con condimento medico, il mio curriculum assomiglia piu' ad un'elaboratissima torta a strati: primo strato contabile, secondo strato statistico, terzo matematico con crema bigusto all'economia e ciliegina clinica. La mangereste? "Le faremo sapere". Ecco la reazione. "Forse i signori non hanno digerito". Mi domando. Ma perche' mai? Anni di studio, di rinunce, di ideali per sfornare un prodotto bello, ma non commestibile. Eppure gli ingredienti sono tutti di prima scelta, genuini, non geneticamente modificati, pagati a caro prezzo. Infatti i singoli strati, se mangiati singolarmente sono ottimi, ma il risultato finale non lascia soddisfatti con nessun gusto: si sente il miscuglio di troppi gusti che il palato convenzionale non riesce a digerire.
In realta' dietro quest'accozzaglia si nasconde una personalita' "artistica" celata e apparentemente addomesticata dal tentativo di razionalizzarsi e uniformarsi alle esigenze di mercato.
Studio ragioneria, per non essere poi disoccupata in caso di non proseguimento degli studi. Ottengo degli ottimi risultati, pagati con sacrifici, stress e "antipatia sociale" che razionalmente avrei potuto evitare. Pensando di essere sufficientemente edotta alla filosofia contabile, mi iscrivo alla facolta' di Economia, ma con indirizzo statistico-matematico applicato al mercato finanziario e assicurativo. Pare che l'"allora futuro" richieda ingegneri del risparmio, che sappiano gestire l'incertezza dei mercati. Una sfida, penso, ed un'occasione per razionalizzare la mia vita, studiando materie quantitative che penso siano necessarie per la mia formazione.
Ottenuto il titolo con lode e decantazioni varie, trovo lavoro nel risk management di una compagnia di assicurazione. Dopo qualche mese lascio il posto. Sono attirata e incuriosita dalla carriera accademica ed in secondo luogo dalla ricerca scientifica. Mi iscrivo al dottorato di ricerca del dipartimento di matematica applicata all'economia. Nonostante frustrazioni e problemi personali, ottengo il titolo. La ricerca intrapresa per la mia tesi potrebbe essere interessante, ma non sono nel posto giusto per poterla valorizzare.
Il mio interesse si sposta dall'economia alla medicina. Trovo lavoro come statistica in un centro di ricerca di epidemiologia. Il lavoro e' interessante. Nonostante sia piu' operativo rispetto al ricercatore accademico, e' piu' stimolante e motivante, ma soprattutto l'ambiente e' quello ideale. Le persone sono simpatiche, leali e lavorano con grande impegno.
Capisco che in ambito lavorativo l'ambiente e piu' importante del lavoro stesso: e' dal "feeling" con le persone con cui interagisco che dipende la mia soddisfazione personale. Capisco che, avendo sempre dato priorita' a placare la mia immediata "sete di conoscenza", ho trascurato di chiedermi se la mia personalita' e i miei principi fossero in sintonia con l'ambiente che la richiedeva. Capisco che in realta' non mi sono mai veramente chiesta cosa avrei ottenuto dopo ogni meta desiderata. L'importante era partire e raggiungerla.
Piu' che un'insalata di economia, matematica, statistica, con condimento medico, il mio curriculum assomiglia piu' ad un'elaboratissima torta a strati: primo strato contabile, secondo strato statistico, terzo matematico con crema bigusto all'economia e ciliegina clinica. La mangereste? "Le faremo sapere". Ecco la reazione. "Forse i signori non hanno digerito". Mi domando. Ma perche' mai? Anni di studio, di rinunce, di ideali per sfornare un prodotto bello, ma non commestibile. Eppure gli ingredienti sono tutti di prima scelta, genuini, non geneticamente modificati, pagati a caro prezzo. Infatti i singoli strati, se mangiati singolarmente sono ottimi, ma il risultato finale non lascia soddisfatti con nessun gusto: si sente il miscuglio di troppi gusti che il palato convenzionale non riesce a digerire.
In realta' dietro quest'accozzaglia si nasconde una personalita' "artistica" celata e apparentemente addomesticata dal tentativo di razionalizzarsi e uniformarsi alle esigenze di mercato.
Studio ragioneria, per non essere poi disoccupata in caso di non proseguimento degli studi. Ottengo degli ottimi risultati, pagati con sacrifici, stress e "antipatia sociale" che razionalmente avrei potuto evitare. Pensando di essere sufficientemente edotta alla filosofia contabile, mi iscrivo alla facolta' di Economia, ma con indirizzo statistico-matematico applicato al mercato finanziario e assicurativo. Pare che l'"allora futuro" richieda ingegneri del risparmio, che sappiano gestire l'incertezza dei mercati. Una sfida, penso, ed un'occasione per razionalizzare la mia vita, studiando materie quantitative che penso siano necessarie per la mia formazione.
Ottenuto il titolo con lode e decantazioni varie, trovo lavoro nel risk management di una compagnia di assicurazione. Dopo qualche mese lascio il posto. Sono attirata e incuriosita dalla carriera accademica ed in secondo luogo dalla ricerca scientifica. Mi iscrivo al dottorato di ricerca del dipartimento di matematica applicata all'economia. Nonostante frustrazioni e problemi personali, ottengo il titolo. La ricerca intrapresa per la mia tesi potrebbe essere interessante, ma non sono nel posto giusto per poterla valorizzare.
Il mio interesse si sposta dall'economia alla medicina. Trovo lavoro come statistica in un centro di ricerca di epidemiologia. Il lavoro e' interessante. Nonostante sia piu' operativo rispetto al ricercatore accademico, e' piu' stimolante e motivante, ma soprattutto l'ambiente e' quello ideale. Le persone sono simpatiche, leali e lavorano con grande impegno.
Capisco che in ambito lavorativo l'ambiente e piu' importante del lavoro stesso: e' dal "feeling" con le persone con cui interagisco che dipende la mia soddisfazione personale. Capisco che, avendo sempre dato priorita' a placare la mia immediata "sete di conoscenza", ho trascurato di chiedermi se la mia personalita' e i miei principi fossero in sintonia con l'ambiente che la richiedeva. Capisco che in realta' non mi sono mai veramente chiesta cosa avrei ottenuto dopo ogni meta desiderata. L'importante era partire e raggiungerla.
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giovedì 5 maggio 2011
Inanalizzabile
Arginare il fiume dei miei pensieri e costruire un ponte tra una sponda e l'altra.
Catturare in uno scritto i segni del passato che rovinosamente intaccano la mia mente e la mia persona.
Analizzare l'inanalizzabile...
Sulla base delle dicerie e dei dati anagrafici, sono nata agli inizi degli anni ottanta.
La mia non è stata per nulla un'infanzia ordinaria e forse non è nemmeno stata un'infanzia.
Un disegno all'asilo, seguito dai complimenti dell'educatrice è il primo della lista dei ricordi della mia vita. Seguono poi: un'interpretazione personale delle emozioni suscitatemi da un pezzo di musica classica, che lasciò esterrefatti educatori ed educandi, le "botte" che diedi ad un compagno per avermi offeso, la mano che strinsi al mio primo amico, la mia prima esibizione in pubblico.
Fin dai primi anni della mia vita, l'approvazione ed il consenso dell'Altro, inteso come qualsiasi essere umano potenzialmente in grado di esprimere un giudizio nei miei confronti, hanno sempre rivestito una notevole importanza ed influenza nella scelta delle mie azioni. ``Come sei intonata!''- fu il pretesto per continuare a squarciagola le mie canzoni preferite sul tram. ``Non hai fatto nemmeno un errore di grammatica.'' - mi fece amare il tema d'italiano del lunedì mattina alla scuola elementare. ``Mi piace la tua indipendenza'' fu la frase di mio padre che non mi fece temere la prima parvenza di solitudine.
D'altra parte, l'immagine corporea mi ha sempre affascinato. Ossessionata dalla bellezza di un volto, di un corpo armionoso...
``Come sei grassa!'' - fu la prima frase che mi gettò a terra e il cui spettro ha segnato la mia esistenza. Ogni giudizio e ogni critica dell'Altro sono sempre giunti al vaglio della mia coscienza e tramutati in emozione: gioia e soddisfazione, per i complimenti, tristezza per i biasimi e le critiche negative anche se alcune di esse, dopo un lungo processo di riflessione e analisi della loro infondatezza, hanno poi lasciato posto all'indifferenza.
Impulsiva, aggressiva e istintiva per natura, divento riflessiva e pacata per la considerazione ed il rispetto verso il pensiero e l'opinione dell'Altro.
Ho sempre mirato ad essere desiderata e amata dall'Altro, il quale è sempre stato al centro dei miei interessi. Osservazione e confronto con l'Altro, mi hanno indotto ad idealizzare sempre dei modelli. La famiglia di AlX, la mia più fidata amica, ha rappresentato il riferimento di famiglia ideale in cui avrei voluto vivere nell'infanzia. TiX, la mia compagna delle elementari, è stato l'esempio di persona che volevo essere: bella, amata da tutti, socievole, solare. ManX, alle medie, il riferimento alla trasgressione e ribellione a cui ho mirato nella prima adolescenza. AnX, l'esempio di malizia, seduzione e vanità che accattivava i ragazzi delle superiori. LuiX, l'incarnazione del successo in accademia e in azienda.
Ho sempre vissuto con la fantasia di modelli e ideali da poter raggiungere e ciò mi ha sempre distolto dal vivere stesso, dal godere appieno del singolo attimo e delle piccole cose. La mia preoccupazione è sempre stata l'avere qualcosa di anormale, rispetto all'Altro, nei seguenti ambiti: la famiglia, l'amicizia, l'amore, lo studio, ma soprattutto il corpo, la mente e, in generale, la vita.
Mi sono sempre distratta dal non essere, invece di concentrarmi sull'essere, a tal punto che la mia mente si è estraniata persino dal mio corpo, cioè dal mio essere ``tangibile''.
Catturare in uno scritto i segni del passato che rovinosamente intaccano la mia mente e la mia persona.
Analizzare l'inanalizzabile...
Sulla base delle dicerie e dei dati anagrafici, sono nata agli inizi degli anni ottanta.
La mia non è stata per nulla un'infanzia ordinaria e forse non è nemmeno stata un'infanzia.
Un disegno all'asilo, seguito dai complimenti dell'educatrice è il primo della lista dei ricordi della mia vita. Seguono poi: un'interpretazione personale delle emozioni suscitatemi da un pezzo di musica classica, che lasciò esterrefatti educatori ed educandi, le "botte" che diedi ad un compagno per avermi offeso, la mano che strinsi al mio primo amico, la mia prima esibizione in pubblico.
Fin dai primi anni della mia vita, l'approvazione ed il consenso dell'Altro, inteso come qualsiasi essere umano potenzialmente in grado di esprimere un giudizio nei miei confronti, hanno sempre rivestito una notevole importanza ed influenza nella scelta delle mie azioni. ``Come sei intonata!''- fu il pretesto per continuare a squarciagola le mie canzoni preferite sul tram. ``Non hai fatto nemmeno un errore di grammatica.'' - mi fece amare il tema d'italiano del lunedì mattina alla scuola elementare. ``Mi piace la tua indipendenza'' fu la frase di mio padre che non mi fece temere la prima parvenza di solitudine.
D'altra parte, l'immagine corporea mi ha sempre affascinato. Ossessionata dalla bellezza di un volto, di un corpo armionoso...
``Come sei grassa!'' - fu la prima frase che mi gettò a terra e il cui spettro ha segnato la mia esistenza. Ogni giudizio e ogni critica dell'Altro sono sempre giunti al vaglio della mia coscienza e tramutati in emozione: gioia e soddisfazione, per i complimenti, tristezza per i biasimi e le critiche negative anche se alcune di esse, dopo un lungo processo di riflessione e analisi della loro infondatezza, hanno poi lasciato posto all'indifferenza.
Impulsiva, aggressiva e istintiva per natura, divento riflessiva e pacata per la considerazione ed il rispetto verso il pensiero e l'opinione dell'Altro.
Ho sempre mirato ad essere desiderata e amata dall'Altro, il quale è sempre stato al centro dei miei interessi. Osservazione e confronto con l'Altro, mi hanno indotto ad idealizzare sempre dei modelli. La famiglia di AlX, la mia più fidata amica, ha rappresentato il riferimento di famiglia ideale in cui avrei voluto vivere nell'infanzia. TiX, la mia compagna delle elementari, è stato l'esempio di persona che volevo essere: bella, amata da tutti, socievole, solare. ManX, alle medie, il riferimento alla trasgressione e ribellione a cui ho mirato nella prima adolescenza. AnX, l'esempio di malizia, seduzione e vanità che accattivava i ragazzi delle superiori. LuiX, l'incarnazione del successo in accademia e in azienda.
Ho sempre vissuto con la fantasia di modelli e ideali da poter raggiungere e ciò mi ha sempre distolto dal vivere stesso, dal godere appieno del singolo attimo e delle piccole cose. La mia preoccupazione è sempre stata l'avere qualcosa di anormale, rispetto all'Altro, nei seguenti ambiti: la famiglia, l'amicizia, l'amore, lo studio, ma soprattutto il corpo, la mente e, in generale, la vita.
Mi sono sempre distratta dal non essere, invece di concentrarmi sull'essere, a tal punto che la mia mente si è estraniata persino dal mio corpo, cioè dal mio essere ``tangibile''.
Senza struttura (Introduzione)
I pensieri, le riflessioni derivanti dall'esperienza, dall'immaginazione o semplicemente dall'osservazione, spesso non trovano forma. Vagano all'interno della mente. Alcuni si tramutano in progetti concreti, altri muoiono oppure diventano ossessioni che non trovano espressione in alcuna forma. Questo blog e' un tentativo di esprimere i pensieri che non hanno ancora una forma, ne' tantomeno una struttura.
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